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Il movimento di rinascita e le oligarchie del XXI secolo

Il movimento di rinascita e le oligarchie del XXI secolo

oligarchie

La globalizzazione che viviamo oggi, liberalizzata alla fine del XX secolo non è un fenomeno nuovo alla storia e, di per sé, non è nocivo né a livello sociale, né a livello culturale.
Forse. O forse no.

La nostra epoca è contraddistinta da una contrapposizione di “forze”: da un lato c’è la spinta naturale di ogni individuo a perseguire il proprio progresso e la propria felicità personale in maniera libera e autarchica con una ricchezza media di circa 77.000 dollari (Global wealth report 2020, Credit Swisse).

Dall’altro lato c’è la spinta di pochi oligarchi che, attraverso la propria sconfinata ricchezza globalizzata, ha la capacità economica di influenzare più o meno profondamente le scelte delle strutture politiche, economico-finanziarie, sanitarie, culturali, educative e sociali di tutti i paesi del mondo. Il patrimonio medio delle prime 10 persone più ricche al mondo è di circa 151 miliardi di dollari a testa (151.000.000.000 a testa).

Il corto circuito fra queste due forze sta nell’impossibilità di conciliarsi nella loro realizzazione, e ancor meno a livello sociale. Il pensiero individualistico (diciamo autarchico)

che vuole affermare il proprio sentire è identico a quello egoistico dell’oligarca di turno, che egli operi come persona o con una sua estensione economica (un fondo, una banca, una società orientata al profitto o una società non governativa senza scopo di lucro). Questa mentalità pensa esclusivamente ai propri interessi e non tollera interferenze.

La domanda nasce spontaneamente: com’è possibile andare oltre a questa spinta egoica e accedere a uno spazio sociale collettivo, inclusivo e generativo? Dove possiamo prendere il coraggio di lasciare da parte il nostro pensiero più individualistico per adottare una visione sistemica capace di generare un’evoluzione trasformata del sé e del mondo?

I fenomeni di globalizzazione, a partire dalle conquiste di Alessandro Magno, passando attraverso l’impero romano, le esplorazioni geografiche del XVI e XVII secolo e la colonizzazione del tardo ottocento (per citare solo quelli relativi alla storia occidentale), sono tutti movimenti che hanno profondamente distrutto o creato una discontinuità nella storia e nella cultura dei popoli conquistati. La politica di uno Stato sovrano che portava con sé i propri valori, la propria cultura, le proprie usanze, la propria lingua, le proprie leggi, la propria tecnica e le proprie scienze, si iscriveva sopra quanto già in essere cancellando (e solo a volte occultando) completamente le tracce di quanto già edificato. Si pensi, per esempio, all’abuso perpetuato dalla chiesa che edificava sopra le macerie dei templi sacri appena conquistati.

Ma rispetto all’età contemporanea c’è una grande differenza.

La spinta globale di oggi non arriva da uno Stato egemone e portatore di un proprio sistema di valori, ma da poche persone che controllano il pensiero comune attraverso il potere politico, culturale, sociale, finanziario e mediatico della maggior parte dei paesi al mondo aperti alla globalizzazione (e anche di quelli che tentano di resisterle). <<Rare volte nella storia umana>> diceva De Masi nel 2014 nel suo Mappa Mundi, <<sono cambiati simultaneamente i termini fondamentali del lavoro, della ricchezza, del potere e del sapere. Ogni volta che ciò è avvenuto si sono verificate vere e proprie discontinuità epocali nel cammino dell’umanità>>. Oggi, continua De Masi riferendosi a quanto già evidente 7 anni fa <<In tutti i campi le trasformazioni sono state più rapide e profonde di quanto il diritto non sia riuscito a regolare, il mercato non sia riuscito a smaltire, il nostro cervello non sia riuscito a comprendere. […] Nessuna sfera resta immune da questo disorientamento: né quella biologica né quella economica, familiare, politica, sessuale, culturale. Non sappiamo se questo disorientamento rappresenti un sintomo di sviluppo o l’avvisaglia di un tracollo. Sappiamo soltanto che provoca una diffusa sensazione di crisi la quale, a sua volta, rende difficile e azzardato progettare il nostro futuro. Sappiamo anche che, se noi smettiamo di progettarlo, altri lo progetteranno per noi, non in funzione dei nostri interessi ma in funzione del loro tornaconto>> (Domenico De Masi, Mappa Mundi, Rizzoli 2014). Tornando dunque alle nostre due forze in campo, è, credo evidente a tutti, che, fra le due, è destinata a soccombere quella con meno potere economico. Si pensi che la differenza economica fa i due patrimoni medi è di circa 2 milioni di volte (77k dollari x 2 milioni di volte). Questa fine ce la insegna la storia dei popoli del nord e del sud America, dell’Europa a discapito dei Romani, e la storia del popolo africano deportato e messo in schiavitù nel XIX secolo. Senza doverne scomodarne altri.

Che fare, dunque, se questo non è il futuro che vogliamo. Come possiamo generare una spinta capace di andare oltre le oligarchie del XXI secolo?

Questo fenomeno, che oggi ha caratteristiche mondiali, sta generando innumerevoli minoranze. In ogni paese c’è un gruppo di persone che prova una sempre più diffusa sensazione di sfiducia nei confronti delle “istituzioni”, delle leggi e delle “narrative” globalizzate. In alcuni stati questi gruppi vengono repressi, in altri derisi, in altri ignorati, nella maggior parte strumentalizzati per rafforzare le narrative istituzionali. Eppure all’interno di queste minoranze ci sono gruppi di mutuo aiuto, di economia solidale, di alimentazione sostenibile, di spiritualità, di crescita personale, di fratellanza ecumenica, di decrescita responsabile, di dignità e sicurezza del lavoro, di economia umanistica, di politica sociale, di tecnologia open source, di agricoltura sostenibile, di libertà di pensiero e azione per i temi più disparati: dalla scelta religiosa, a quella sanitaria (inclusa la volontà di decidere e gestire autonomamente la propria vita o la propria morte), di emancipazione di genere o sessuale, ma anche politica e sociale in alcuni paesi. E questi sono solo quelli che si possono incontrare aprendo gli occhi sul proprio territorio. A questi movimenti andrebbe aggiunto il volontariato, che sempre di più facciamo a titolo personale, e tutti i gruppi che senza scopo di lucro agiscono spinti da Valori Umani e disinteressati alla gestione economica dei propri progetti.

Tutte queste iniziative nascono da quella “diffusa sensazione di crisi”, dal disagio comune generato dalla globalizzazione e dalla silenziosa consapevolezza che non esiste un “salvatore” efficace che non passi attraverso il proprio impegno personale. Molto vero, ma nonostante ciò dobbiamo renderci conto che il nostro agire è prevalentemente alla “fase 1”, ancorato a un impulso critico e autarchico. Come tale, esso, non ha ancora la forza necessaria a trasformare il proprio mondo superando se stesso. Esiste ancora una spinta egoica priva di un obiettivo sistemico che vada oltre se stessi. Il valore che generiamo in questo modo sta ancora nell’addizione 1+1=2 e con il 2 escludiamo il 3 in quanto diverso da 1 e 2.

Nonostante ciò, al contrario di quanto rilevava De Masi 7 anni fa, oggi possiamo affermare con certezza che la storia non è giunta al capolinea, ma al giro di boa. Il senso di responsabilità che unisce in silenzio questa moltitudine di anime, è solo uno dei Valori Umani che le accomuna, ma non è il solo.

Come possiamo dunque accedere al nostro futuro migliore, a un movimento evolutivo globale, capace di rigenerare il senso della vita su questo pianeta?

A quali Valori Umani più profondi possiamo accedere per sostenere questa trasformazione?

Siamo disponibili a ringraziare il nostro ego per il lavoro fatto fin qui e metterlo al servizio di un bene più grande che ci includa, integri e travalichi noi stessi, senza compromessi per nessuno?

Ebbene, oggi, vedo che tutti noi abbiamo a disposizione le risorse necessarie. Ci serve mantenere il focus su questo obiettivo comune, avere basse aspettative a breve termine e condurre uno sforzo costante per il futuro che oggi è potenzialmente già qui.

Possiamo essere consapevoli che con queste poche attenzioni possiamo trasformare la nostra unità matematica in un bene sociale e comune dove 1+1 è = a 11 e 1+1+1 è = a 111 a garanzia della nostra identità personale, della storia collettiva e della dignità umana. Insieme.

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Alessandro Fellegara

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